In questa guida spieghiamo come fare un reclamo per comportamento scorretto di un collega.
Affrontare il comportamento scorretto di un collega è una delle situazioni più delicate in ambito lavorativo. Da un lato c’è l’esigenza di proteggere la propria dignità, salute e produttività; dall’altro bisogna muoversi con metodo, documentando i fatti e rispettando procedure e ruoli interni, così da trasformare il disagio in un reclamo efficace, credibile e risolutivo. Questa guida ti accompagna dall’analisi del problema alla redazione del reclamo, fino alle possibili vie di escalation, con l’obiettivo di aiutarti a ottenere una soluzione concreta limitando i rischi di incomprensioni, ritorsioni o inutili irrigidimenti.
Indice
Come Fare un Reclamo per Comportamento Scorretto di un Collega
Il punto di partenza è distinguere tra conflitto fisiologico e scorrettezza vera e propria. In ogni organizzazione si verificano divergenze di vedute, frizioni sul carico di lavoro, urgenze che fanno alzare la voce: non tutto richiede un reclamo formale. Il reclamo diventa lo strumento giusto quando i comportamenti sono ripetuti o gravi, hanno conseguenze negative tangibili su di te o sul team, violano codici interni, norme di sicurezza, dignità personale o addirittura la legge. Rientrano in questa sfera, a titolo esemplificativo ma non limitativo, atteggiamenti di denigrazione sistematica, isolamento intenzionale, ostruzionismo, violazioni della privacy, avances non richieste, battute o gesti a sfondo sessista o razzista, sottrazione o manipolazione del lavoro altrui, diffusione di informazioni false che ti danneggiano, abuso di strumenti aziendali per spiarti o screditarti, rifiuto di fornire informazioni indispensabili per tenerti in scacco. Anche un singolo episodio può giustificare un reclamo quando l’offesa è macroscopica o mette a rischio sicurezza e incolumità. Mantenere questa distinzione è importante perché la credibilità del tuo racconto dipende anche dalla capacità di collocare i fatti in un quadro di rilevanza oggettiva e non solo emotiva.
Una volta compreso che la soglia del “semplice conflitto” è stata superata, la priorità diventa la raccolta rigorosa dei fatti. È utile tenere un diario cronologico, scritto in modo asciutto e verificabile, in cui annoti data, ora, luogo, persone presenti, parole pronunciate per quanto possibile letteralmente, conseguenze sull’attività e sul tuo stato d’animo, e ogni azione intrapresa in risposta. Conserva email, messaggi, note di riunioni, documenti condivisi, e acquisisci copie dei file su cui è intervenuta la condotta scorretta. Se gli episodi avvengono su sistemi aziendali di chat o collaborazione, salva le conversazioni con timestamp; se il comportamento si manifesta in riunione, invia subito dopo una mail di recap che cristallizzi quanto accaduto e la tua richiesta di correzione, così da creare una traccia ufficiale. Quando si tratta di prove digitali evita di alterare i contenuti o di violare policy interne: la forza di una documentazione sta nella sua integrità. Nel dubbio, fai copie di lavoro e conserva gli originali immutati. Quanto alle registrazioni ambientali, sappi che le regole variano per giurisdizione e policy aziendale; in molte realtà è consentito registrare una conversazione a cui partecipi personalmente, ma restano limiti etici, legali e disciplinari. Se senti che potresti aver bisogno di questo tipo di prova, informati prima o chiedi un parere qualificato, perché un’azione maldestra su questo fronte può ritorcersi contro di te.
Il passo successivo, prima di formalizzare, è valutare se un confronto informale sia ancora utile e sicuro. Spesso un breve incontro in luogo neutrale, alla presenza del responsabile o di una figura terza, può chiarire equivoci e stoppare sul nascere dinamiche involontarie. Se però gli episodi sono già stati segnalati senza esito, se temi ritorsioni o se la scorrettezza è palese, la strada del reclamo scritto diventa doverosa. Non c’è un solo canale valido per tutti: in un’azienda strutturata esistono policy e flussi codificati che indicano a chi rivolgersi, mentre nelle realtà più piccole la figura di riferimento è spesso il datore di lavoro o il consulente del lavoro che gestisce il personale. Leggere con attenzione il codice etico e il regolamento aziendale ti aiuta a usare la porta giusta e ad adottare il lessico coerente con i valori e gli impegni che l’azienda dichiara di avere.
La scrittura del reclamo è il cuore dell’intero percorso. Deve essere chiaro, sobrio, focalizzato sui fatti. Evita aggettivi svalutanti, interpretazioni psicologiche o insinuazioni; concentrati su ciò che è accaduto e su come ha inciso su di te e sul lavoro. Apre bene un testo che identifichi subito il contesto e lo scopo, seguito da una narrazione cronologica degli episodi principali. È utile fermarsi a spiegare l’impatto concreto su produttività, clima e benessere, e collegare i fatti a regole o policy che ritieni siano state violate. Non serve padroneggiare il gergo giuridico: basta indicare con precisione il patto o la norma interna che chiedi sia rispettata, per esempio il codice di condotta, la policy anti-molestie, le linee guida sull’uso degli strumenti informatici, le disposizioni in materia di salute e sicurezza, le procedure per il rispetto della parità e della dignità sul lavoro. Chiudi con richieste chiare e operative: che cosa ti aspetti che l’azienda faccia nell’immediato per proteggerti e per interrompere la condotta, e quali misure di medio periodo ritieni opportune, senza trasformare il reclamo in una lista di desideri non realistici. La concretezza è spesso ciò che spinge un’organizzazione ad agire con tempestività.
Può aiutarti avere in mente una struttura esemplificativa. Immagina di scrivere: “Oggetto: Reclamo per comportamento scorretto del collega [Nome, Cognome]. Con la presente segnalo comportamenti ripetuti e a mio avviso in contrasto con il nostro Codice Etico e con la Policy aziendale sulla dignità e il rispetto nei luoghi di lavoro. In data [giorno] durante la riunione [X] il collega [Nome] ha pronunciato la frase [citazione il più possibile testuale], attribuendomi responsabilità non veritiere sul progetto [Y]. Nelle settimane successive, in [date], il collega ha rifiutato di condividere informazioni indispensabili per la consegna dei deliverable, nonostante le mie richieste via email del [date], con impatti negativi su scadenze, stress e rapporto con il cliente. Allego la corrispondenza rilevante e le note delle riunioni. Chiedo che l’azienda apra un’istruttoria, mi tuteli nelle prossime settimane limitando l’interazione diretta con il collega per il tempo necessario, individui un facilitatore o un referente terzo per la gestione operativa, e disponga le misure ritenute idonee per prevenire il ripetersi dei fatti. Resto disponibile a fornire ulteriori dettagli e a partecipare a un incontro, purché in ambiente protetto”. Un testo così imposta subito coordinate, prove e richieste, e lascia all’azienda spazio di manovra per soluzioni proporzionate.
Durante la gestione del reclamo è vitale chiedere espressamente tutela contro ritorsioni e garantire la riservatezza. Le buone pratiche organizzative prevedono che chi segnala in buona fede sia protetto da demansionamento occulto, esclusioni punitive, cambi immotivati di orario o sede, valutazioni di performance ingiustamente peggiorative. Se avverti segnali in questo senso, segnalarli tempestivamente nella stessa pratica o con un addendum è fondamentale, perché chi gestisce i reclami può adottare cautele immediate. Parallelamente, è ragionevole pretendere che il tuo racconto sia condiviso solo con chi deve saperlo per ragioni istruttorie, e che eventuali audizioni vengano fissate in orari e luoghi che non ti espongano a imbarazzi inutili. La riservatezza non è una cortesia, è una condizione per consentirti di collaborare serenamente.
La fase istruttoria non sempre è lineare. L’azienda può sentire testimoni, acquisire ulteriori documenti, convocare colloqui separati o congiunti, proporre mediazioni interne. Collabora in modo puntuale, evitando di sovraccaricare i gestori con materiali irrilevanti e concentrandoti sulle evidenze che collegano direttamente condotte e impatti. Se ti senti a disagio a partecipare a un faccia a faccia, puoi proporre alternative, ad esempio incontri con un facilitatore esterno o con la presenza di un rappresentante sindacale o di fiducia. Se la persona oggetto del reclamo è il tuo diretto superiore, chiedi esplicitamente che la gestione sia affidata a un’altra struttura per evitare conflitti di interesse. Non è una mancanza di rispetto: è la condizione minima di imparzialità.
In alcuni casi il comportamento scorretto si intreccia con profili sensibili di salute e sicurezza, benessere organizzativo e stress lavoro-correlato. Qui entrano in gioco figure come il medico competente, il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, i referenti interni contro discriminazioni e molestie, e strumenti come la valutazione dei rischi psicosociali. Anche se non è tua responsabilità far scattare questi meccanismi, segnalare l’impatto sulla salute e chiedere valutazioni oggettive può orientare l’azienda verso misure strutturali e non solo “disciplinari”. Allo stesso modo, se gli episodi toccano questioni di discriminazione o molestia, è importante usare la parola giusta, perché attiva tutele rafforzate e obblighi d’intervento più stringenti in capo al datore di lavoro.
Quando le condotte integrano violazioni di legge o di regolamenti rilevanti per l’ente, può entrare in gioco il canale di segnalazione dedicato agli illeciti, distinto dal reclamo HR classico. Se, ad esempio, il collega altera dati contabili, falsifica timesheet, manipola procedure di gara, utilizza credenziali altrui per accedere a informazioni riservate, il percorso appropriato è la segnalazione riservata al canale di whistleblowing indicato dall’azienda. Se non sei certo che il caso sia “da whistleblowing”, puoi comunque chiedere istruzioni a HR o Compliance senza entrare nei dettagli sensibili, oppure utilizzare il canale e lasciare che la funzione competente qualifichi la tua segnalazione. La buona fede e la ragionevole convinzione che i fatti siano veri sono il pilastro della tua protezione.
Esistono poi strumenti relazionali che possono essere parte della soluzione, specialmente quando l’azienda ritiene che il rapporto professionale meriti un tentativo di riparazione: coaching, piani di miglioramento comportamentale, riassegnazione di ruoli e confini, regole di comunicazione condivise, facilitazioni nelle riunioni, impegni vincolanti a cambiare specifiche abitudini. Non sono palliativi, se messi nero su bianco e monitorati. Puoi chiedere che venga fissato un follow-up a distanza di qualche settimana, così che le promesse non restino sulla carta. Nel frattempo, ricordati di continuare a documentare ciò che accade, perché anche i progressi fanno parte della storia e vanno riconosciuti.
Se il reclamo non ottiene risposta o viene archiviato senza motivazione, valuta una escalation ordinata. Nelle realtà più grandi c’è spesso un livello superiore cui rivolgersi, come il Responsabile della Funzione HR, l’Organismo di Vigilanza o il Comitato Etico. In alcuni settori esistono anche organismi esterni di composizione o autorità con cui interloquire quando sono in gioco diritti fondamentali, parità di genere, discriminazioni o violazioni in materia di dati personali. Qui entra in campo il consiglio di un professionista o di un rappresentante sindacale, utile per calibrare le mosse senza bruciare ponti. In ogni caso, mantieni il baricentro sui fatti e sul risultato che cerchi: interrompere la condotta e ripristinare un contesto di lavoro sano.
Un aspetto che spesso preoccupa è la reputazione. Temiamo che un reclamo ci marchi come problematici. In realtà, un reclamo ben scritto, tempestivo e rispettoso è un segnale di responsabilità verso l’organizzazione; il messaggio che manda è che tieni al lavoro e alle persone, non che cerchi conflitti. Anche per questo conviene curare tono e misura, ringraziare per l’attenzione, dichiararsi disponibili a collaborare a una soluzione, e al tempo stesso essere fermi nel rivendicare la tutela della propria dignità. Gli uffici del personale esperti sanno bene che ignorare comportamenti scorretti è molto più costoso, in termini di turnover e performance, che affrontarli per tempo.
Una parola di cautela su due rischi frequenti. Il primo è la tentazione di rispondere colpo su colpo, magari pubblicamente, alle scorrettezze del collega. È comprensibile, ma controproducente: rischi di spostare il baricentro dalla condotta altrui alla tua reazione, regalando argomenti a chi vuole relativizzare. Meglio incanalare tutto nel percorso formale, occupandoti delle urgenze solo per prevenire danni immediati. Il secondo rischio è l’over-sharing, cioè la diffusione eccessiva del tuo racconto in chat di team o canali informali. Anche quando trovi sostegno, amplificare la questione fuori dai canali giusti può ritorcersi contro di te e mettere in imbarazzo chi dovrà poi indagare, oltre a esporre l’azienda a contenziosi sulla privacy. Mantieni il cerchio stretto quanto basta.
Quando la situazione evolve positivamente, non dimenticare di chiudere il cerchio. Una breve comunicazione che prenda atto delle misure adottate e dei miglioramenti osservati, o che ribadisca eventuali criticità residue chiedendo un’ulteriore verifica, è un gesto di maturità e crea memoria organizzativa. Se invece nulla cambia e ti senti esposto, parlane con chi può supportarti su piani diversi: medico di base, psicologo del lavoro, sportello di ascolto se presente, consulente legale o sindacale. Prendersi cura di sé non è un “di più”, è parte della gestione professionale di un conflitto.
Modulo Reclamo per Comportamento Scorretto di un Collega Word e PDF Editabile
Di seguito viene proposto un modulo reclamo per comportamento scorretto di un collega Word e PDF editabile.